Ferrugineum
Rododendro ferrugineo | ||||||||||||||||
Classificazione scientifica | ||||||||||||||||
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Nomenclatura binomiale | ||||||||||||||||
Rhododendron ferrugineum L., L. | ||||||||||||||||
Nomi comuni | ||||||||||||||||
Rododendro ferrugineo |
Rhododendron ferrugineum (L.)
Come si presenta
Il R. ferrugineum è un arbusto sempreverde dai rami legnosi molto intricati che può raggiungere anche il metro in altezza.
Le foglie ovoidali sono coriacee e glabre superiormente ma, se osservate da vicino, sono caratterizzate dal possedere pagine inferiori squamose e fittamente pigmentate di rosso ruggine. Tali pigmentazioni conferiscono globalmente alla pagina una colorazione uniforme. Esse si trovano raggruppate lungo i fusti in gruppi numerosi disposti similmente ad una rosetta. Esse sono lunghe dai 3 ai 5 cm e superiormente presentano una lucente colorazione verde scuro.
I fiori, caliciformi, sono caratterizzati dal possedere i petali saldati tra loro dalla base (che si origina a partire da un breve peduncolo, fino agli apici, che invece appaiono liberi. Similmente alle foglie, anche i fiori si organizzano in folti gruppi che si posizionano alle estremità di quasi la totalità dei rami presentandosi di un brillante colore rosa vivo o, molto raramente, bianco. Dalla impollinazione dei suddetti viene a formarsi sulla pianta un frutto capsulare pentalobato che racchiude numerosississimi semi dalle dimensioni assai ridotte. Essi, una volta raggiunto il suolo, germinano dopo molti anni e, quando ciò avviene, ne servono altrettanti prima che la nuova pianticella sia pronta a sua volta a fiorire e produrre nuovi semi. Un ciclo riproduttivo così lungo spiega la ridotta diffusione del R. ferrugineum, nonostante non sia raro poterne apprezzare vaste distese.
Habitat
Può arrivare anche oltre i 2000 m, tuttavia lo si può trovare anche a quote inferiori (fino ai 1000m). Tale distribuzione è dovuta al fatto che la suddetta pianta risulta essere particolarmente sensibile al gelo e, dunque, durante il periodo invernale trae vantaggio dalla copertura nevosa per proteggersi dalle intemperie.
Predilige suoli a pH acido o, al più, neutro e un buon approvvigionamento di acqua.
Fioritura
Da giugno fino ad agosto, a seconda della altitudine in cui si trova.
Particolarità e curiosità
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Il genere Rhododendron, che comprende anche il noto sottogenere delle Azalee, che di soventemente abbelliscono i nostri giardini grazie ai colori brillanti e appariscenti dei fiori, raggruppa un gran numero di specie, localizzate soprattutto nei paesi asiatici. In Italia le principali specie rappresentative, e spontanee, sono, per l'appunto, il R. ferrugineum e il simile R. hirsutum che differisce dal primo principalmente per via delle sue foglie. Esse, infatti, non presentano la caratteristica pigmentazione nella pagina inferiore e sono interamente ricoperte da una folta peluria; in più il R. hirsutum predilige terreni calcarei.
Il nome Rhododendron deriva dalle parole greche "rhodon", rosa, e "dendron", albero, non stupisce dunque che gli venga attribuito comunemente anche il nome di "Rosa delle alpi".
La pianta e caratterizzata dal possedere un fungo parassita, dal nome scientifico, decisamente appropriato, di Exobasidium rhododendri. Esso determina sulla pianta la presenza di grosse galle giallognole dal diametro di anche 1 cm. A partire da quest'ultime, se raccolte e lasciate macerare per molto tempo in olio, si può ottenere un famoso unguento: il cosiddetto "olio di marmotta", dalle caratteristiche proprietà antireumatiche.
Per ciò che concerne la pianta essa è, allo stato fresco, abbastanza velenosa, per via della presenza, al suo interno, di tannini e altre sostanze nocive, come l'andromedotossina. Per questo motivo, e non solo, non gode di buona reputazione da parte degli alpigiani (gli animali da pascolo, infatti, tendono a nutrirsene in mancanza di altro rimanendone intossicati) che, per di più, ritengono che a causa delle sue esigenze abbastanza importanti essa impoverisca il suolo prevenendo la crescita di piante assai più utili. La risposta fisiologica che segue all'ingestione di importarti quantità di parti appartenenti al rododendro sono: nausea, vomito, diarrea, dolori addominali, turbe neurologiche e, al limite, collasso cardiocircolatorio. Secca perde buona parte delle sue proprietà tossiche e può essere prudentemente utilizzata per la sintesi di medicinali (ricordando sempre che, come narra il famoso proverbio, "è la dose a fare il veleno"). Le foglie secche presentano le stesse proprietà che caratterizzano anche le galle di Exobasidium. Le api, ghiotte del suo abbondante nettare producono un miele che, in dosi abbondanti, può risultare anch'esso lievemente tossico (molto meno della pianta in se' poiché, dato le api utilizzano il nettare di molti fiori per produrre il loro dolce liquido, le proprietà tossiche vengono attenuate). Nonostante questo ci narra Plinio che, anticamente, i soldati appartenenti ad una legione dell'esercito romano, durante un campagna in asia (nella quale, come abbiamo già accennato, sono presenti numerose specie rappresentative del genere Rhododendron) rimasero intossicati a causa della eccessiva assunzione di miele a base di rododendro.
Lo storiografo e mercenario greco Senofonte (ca. 430/425 a.C.-355 a.C.) riportò la notizia della tossicità del miele di rododendro nell’opera ‘Anabasi’ (IV sec. a.C.), resoconto del fallimento dell’impresa armata di 10mila mercenari assoldati da Ciro il Giovane per tentare di usurpare il trono di Persia al fratello maggiore Artaserse II, re di Persia e dell’Egitto. Descrisse che, durante il ritiro dell'esercito da Babilonia nel 401 a.C., i soldati si accamparono sulle colline armene di Trebisonda (fondata dai Greci come Trapezunte, in turco Trabzon), sulla costa meridionale turca del Mar Nero (in turco Ponto Eusino), consumarono in grande quantità del miele estratto dai favi dei tantissimi alveari sugli alberi di rododendri a fiori gialli per calmare la fame, ma la maggior parte di loro furono colti da nausea e vomito, mentre coloro che si erano abbuffati barcollando caddero svenuti e rimasero privi di sensi per un giorno intero. La stessa disavventura toccò nel 327 a.C. anche all’esercito di Alessandro III, re di Macedonia, noto come Alessandro Magno, in spedizione sulla via dell'India e, nel 66 a.C., alle truppe del generale e politico romano Gneo Pompeo Magno, in ritirata vicino a Trabzon durante la terza guerra (75 a.C.-65 a.C.) contro Mitridate VI, re del Ponto, detto Mitridate il Grande. In questo caso, lo storico e geografo greco Strabone (ca. 58 a.C.-ca. 21/25 d.C.) raccontò che, durante un attacco, ebbero la peggio i tre squadroni di soldati che erano in preda agli effetti del miele avvelenato di cui si erano cibati e che avevano preso da alveari forse posti deliberatamente lungo il percorso dai difensori. Nella stessa regione, per uno stratagemma simile, nel 946, i nemici russi di Olga di Kiev, reggente (945-ca. 963) per il figlio Svjatoslav, accettarono un grande quantitativo di miele fermentato e poi 5mila di loro furono massacrati mentre erano caduti in uno stato di torpore. Della tossicità delle fioriture primaverili di alcune specie di rododendri trasferite al miele di questo tipo nella zona del Mar Nero aveva già messo in guardia lo scrittore e naturalista romano Plinio il Vecchio (Gaio Plinio Secondo, 23-79) nell’enciclopedia ‘Naturalis Historia’ (77). I turchi, pur essendo consapevoli dei potenziali effetti collaterali del miele di rododendro prodotto in loco, lo aggiungevano alle bevande alcoliche per intensificarne gli effetti. A tale scopo, questo miele venne importato in Europa a tonnellate nel XVIII, dopo che l’arbusto di 'rododendro del Mar Nero' era stato introdotto dal botanico francese Joseph Pitton de Tournefort (1656-1708) nel 1702 dopo un viaggio in Asia Minore.
Esisistono rare produzioni di miele puro di Rododendro, molto difficile da ottenere poiché a quelle altitudini le api stentano a sopravvivere (la produzione viene di fatti basata sulla così detta "apicoltura nomade").
Sul rododendro vi erano un tempo anche diffuse parecchie credenze: si pensava ad esempio che attirasse tuoni e fulmini e per cui in tedesco veniva anche identificato come "Donnerblume" o "fior di tuono". Anche l'utilizzo come legna da ardere veniva scoraggiato poiché si pensava che facesse bruciare qualsiasi cosa si cucinasse col fuoco da esso prodotto.
Il suo legno veniva altresì utilizzato per produrre scope, mobili, bastoni
Perchè pagina inferiore rossa?????
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