Napellus: differenze tra le versioni

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Napellus disegno.jpg
Classificazione scientifica
Dominio: eucariota
Regno: Plantae
Divisione: Magnoliophyta
Classe: Magnoliopsida
Ordine: Ranuncolales
Famiglia: Ranuncolaceae
Genere: Aconitum
Specie: napellus
Nomenclatura binomiale
Aconitum napellus
L.
Nomi comuni

Strozzalupo

Proprietà Farmacologiche

velenoso


Aconitum napellus (L.)

Come si presenta

L' Aconitum napello è una pianta erbacea perenne (geofita rizomatosa), dai caratteristici fiori blu "ad elmo", nota fin dai tempi più antichi per la sua estrema tossicità. Diciamo già da ora che sarebbe più corretto parlare di gruppo, più che di specie, proprio perché spesso si accomunano sotto questa denominazione esemplari dalla morfologia molto varia, soprattutto delle foglie e dell' "elmo". Questo per dire che la descrizione che segue sarà piuttosto generale: rimandiamo a trattati botanici "professionali" la trattazione completa ed esaustiva dell'argomento.

In generale tutti gli esemplari presentano un fusto ipogeo, un rizoma tubolare simile a un fittone, dal quale si dipartono le radici secondarie; inoltre, nel periodo della fioritura, accanto al tubero "vecchio" compaiono delle nuove gemme, che l'anno sccessivo daranno la luce a un nuovo individuo geneticamente identico al primo.

Il fusto, appena fuori dalla protezione del terreno, si fa eretto, poco ramoso, e spesso raggiunge un'altezza ragguardevole, che può oscillare tra i 50 cm e il metro e mezzo. Per tutta la sua lunghezza è nascosto dalle foglie, presenti in due tipologie: in basso troviamo quelle più grandi (circa 10 cm di diametro), picciolate, verde scuro nella pagina superiore e più tenuemente colorate in quella inferiore. La lamina fogliare è glabra e vagamente pentagonale, anche se è difficile riconoscere una forma chiaramente definita a causa dei lunghi e stretti segmenti lanceolati da cui è composta. Muovendoci verso la sommità del fusto compaiono foglie diverse, sessili e progressivamente più piccole, che pian piano si diradano, lasciando il posto alla spiga fiorale.

Morfologia del fiore (clicca per ingrandire)

I fiori dell' A. napello sono da molti considerati fiori arcaici, sebbene presentino una struttura particolarmente complicata, anche a un'occhio inesperto. A prima vista sembrano dei piccoli "elmi", color viola cupo: questa parte del fiore, la più esterna, è il calice, composto da 5 tepali molto diversi tra di loro. Quello più in alto, l' elmo, ha forma emisferica e termina con un piccolo prolungamento a forma di becco; questo è contornato da due sepali ovali, di più piccole dimensioni; i due sepali inferiori inferiori sono invece più lineari. Il fiore vero e proprio è però racchiuso da questo piccolo scrigno: è solo molto difficile riconoscerlo, perché quelli che di solito siamo soliti chiamare "petali" si sono trasformati in qualcosa di differente. Due sono diventati dei nettari, dei tubicini incurvati in avanti in grado di secernere una sostanza zuccherina che attrae gli insetti pronubi (il nettare, per l'appunto); gli altri sei sono ridotti a piccole linguette. Tra i petali scoviamo anche gli organi riproduttivi del fiore, formati, nel complesso da numerosi stami e da 5 carpelli. Il fiore poggia su un lungo peduncolo.

Dopo l'impollinazione il fiore produce frutti formati da 3 capsule, in genere, unite tra di loro; all'interno nascondono semi neri tetraedri.


Habitat

In genere l'A. napello cresce attorno alle malghe, nei luoghi di raccolta del letame, nelle concimaie e in tutti quei posti in cui la vita animale rende il terreno particolarmente ricco di sostanze nutritive; talvolta si ritrova spontaneo anche negli arbusteti di Ontano verde, pianta azotofissatrice (anche in questo caso siamo in presenza di un suolo molto ricco di nutrienti). L'altitudine ottimale va dai 600 ai 2600 m.

Fioritura

Questa pianta fiorisce in piena estate, in un periodo compreso tra Luglio ed Agosto.

Particolarità e curiosità

L' A. napello è sicuramente una delle piante più conosciute della flora italiana in virtù della sua estrema tossicità: ad essere precisi risulta la pianta più tossica dell'intera flora italiana. Questa sua fama ha, tuttavia, origini antiche: già Plinio lo definisce "arsenico vegetale"; Mattioli, invece, racconta di aver assistito a Roma e a Praga ad esperimenti fatti su condannati morte a cui si facevano ingerire preparati a base di aconito per testare degli antidoti. Anche nei secoli precedenti la pianta veniva utilizzata per avvelenare le frecce dai Galli e dai Germani, e il succo veniva utilizzato per creare dei bocconcini fatali per volpi e lupi. Già a metà del '700 furono condotti studi scientifici su questa pianta da A. von Stoerck, e nei decenni successivi vennero isolate le sostanze attive responsabili di tante morti.

Oggi sappiamo che la triste fama dell' aconito è dovuta ad alcuni alcaloidi, principalmente aconitina, amorfa e cristallizzata, acidi, come l'acido aconico e l'alcol malico, amido e grassi; le radici sono le parti più tossiche dell'intera pianta, anche se questo non significa che il resto sia da meno: bastano infatti pochi milligrammi di principio attivo per procurare la morte di un individuo adulto, e si possono riscontrare irritazioni solo tenendo in mano parti della pianta poiché maneggiandola vengono liberati alcuni glucosidi che vengono assorbiti dalla pelle. Il fatto curioso è che l' Aconitum napellus, insieme al Cardus defloratus sono le uniche piante che non vengono mangiate dalle bestie nei pascoli alpini e prealpini, che in genere provvedono a ripulire tutta la zona circostante ai pericolosi esemplari, laccando intatti questi particolari "giardinetti". L'aconitina è infatti una delle sostanze naturali più velenose che si conoscano: compete con questo composto chimico solo la japaconitina, contenuta in un cugino del napellus, l' Aconito giapponese.

L'aconito ha proprietà analgesiche, decongestionanti, diaforetiche, sedative e antireumatiche, Può essere utilizzato per curare le nevralgie del triogemino, le nevralgie intercostali, i reumatismi, la sciatica, la gotta e l'angina. In ogni modo, a causa dell'elevata tossicità, si sconsiglia caldamente l'utilizzo nell'erboristeria familiare, soprattutto della pianta fresca (che perderà poi una percentuale della sua tossicità con l'essiccamento) e delle radici. In caso di avvelenamento è necessario svuotare completamente lo stomaco con un emetico e somministrare carboni attivi e tannino per neutralizzare l'effetto degli alcaloidi.

Per concludere qualche nota etimologica. Il nome del genere, Aconitum deriva dal graco, akònitum, che significa appunto "pianta velenosa"; il nome della specie, invece, ha origini latine e fa riferimento alla forma del rizoma: napello significherebbe rapa.

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